News stories about teens and young adults committing crimes in major Italian cities are flying in this morning.
In Genoa’s own newspaper of record, the XIX secolo, I learn that a member of the city council was assaulted on a train the other day for urging a ragazzina to wear her face mask. The ragazzina turns out to be 18 year old. Hardly a ragazzina.
The family of a 16-year-old who knifed a carabiniere in a Turin pharmacy claims that their son is un bravo ragazzo and that they are unafamiglia perbene.
In other news, le babygang are brazenly wreaking havoc across the nation.
The Artful Translator has decided something must be done to put a stop to this unending flow of ridiculous epithets and unlikely English coinages.
Let’s thrash out some facts:
A young woman who has the right to vote in EU and Italian elections can hardly be described as a ragazzina. She is an adult and the seriousness of any crime she may have committed must not be mitigated by the use of mollifying diminutives.
Who came up with the ridiculous babygang?. A teen gang? A youth gang? Can Italian reporters please do away with this absurd and risible misnomer? How about using an Italian word instead?
And as to the bravo ragazzo, well, his respectable and decent family must either lack a reputable Italian dictionary on their bookshelf or they must think that dropping some popular clichés might successfully whitewash their poor parental skills.
Så pinsam att den ger sekundärskam – si sente dire talvolta dagli svedesi. Così imbarazzante da provare vergogna per un’altra persona.
L’espressione sekundärskam – una sorta di imbarazzo condiviso o collettivo – è corredata in Svezia da un skämskudde, un cuscino usato per nascondersi quando si prova questa sensazione di imbarazzo. Il termine è talmente diffuso e parte integrante della cultura svedese che hanno dato questo nome a un premio per il peggior programma TV, fonte appunto di imbarazzo e vergogna.
Vediamo ora quanto è diffuso questo senso di vergogna provato di riflesso in altre lingue e culture europee.
Non esiste nella vicina Danimarca, dove l’imbarazzo è evidentemente del tutto personale. Riflette forse il carattere più individualista dei danesi rispetto ai cugini d’oltre Øresund. Va da sé che non esiste nemmeno il cuscino dietro cui nascondersi. In danese, il termine sekundærskamcredo sia limitato alla psicologia clinica.
In Norvegia sekundærskamsembra più diffuso che in Danimarca, mentre in Germania e in Austria il concetto è decisamente diffuso quanto in Svezia. Qui è noto comeFremdscham, che fa carinamente da pendant alla più famosa Schadenfreude.
Esiste anche in russo, dove si chiama Испанский стыд, che significa vergogna spagnola, perché la Spagna sembra essere il paese d’origine di questa espressione, che il castigliano rende in realtà con vergüenza ajena.
Inutile dire che in Italia il termine non esiste perché gli italiani forse spesso non si vergognano in prima persona, figuriamoci se lo farebbero, con più o meno empatia, in seconda persona. Se dovessimo tradurlo, vergogna aliena sarebbe etimologicamente corretto, ma farebbe pensare a un mondo extraterrestre. Quindi si ricorrerà con ogni probabilità a qualche perifrasi – tanto amata dall’italiano curvilineo.
Da ultimo, pare che alcuni propendano per Spanish shame. Eviterei. La reazione che l’imbarazzo altrui provocherebbe in un astante anglofono varrà un cringeworthy o al massimo un più colloquiale cringey.
Un cabarettista incapace di far ridere porterebbe a questa reazione.
Il verbo riflessivo svedese huka sig ha un paio di significati principali che, in italiano, possono essere resi in due posizioni del corpo abbastanza distinte. La prima si avvicina di più a rannicchiarsi, accovacciarsi o accoccolarsi (specie nel verbo frasale huka ihop), mentre la seconda significa chinare o abbassare la testa o la parte superiore del corpo.
È questa seconda accezione che interessa maggiormente perché ha dato luogo all’espressione hukarmentalitet diffusa tra i finlandesi di lingua svedese, minoranza linguistica in un paese ufficialmente bilingue.
In questa cartina un colpo d’occhio è sufficiente per capire la disparità e disproporzione tra finlandese (verde) e svedese (arancio) in Finlandia
Sebbene infatti la Finlandia sia ufficialmente una nazione bilingue, si tratta per lo più di un bilinguismo territoriale dove i parlanti svedesi si concentrano sulle coste e le isole del Golfo di Botnia e nella capitale. I dati sono chiari: quasi l’87% dei finlandesi è di lingua finnica mentre poco più del 5% è di lingua svedese. Le cifre cambiano se si tengono presente i parlanti bilingui, ma non si tratta sempre di un bilinguismo ‘bilanciato’, bensì di una conoscenza acquisita a scuola dell’altra lingua, conoscenza che spesso è minima, specie per quei finlandesi che vivono in comunità monolingui. Questa divisione ha dato adito ad aspetti sociolinguistici complessi ed è a volte fonte di risentimento, specie tra i finlanddsvenskar, ossia gli svedesi di Finlandia, che spesso vedono la propria lingua relegata a un luogo marginale o addirittura esclusa.
Con essa è nata l’espressione, a mio avviso interessantissima, hukarmentalitet, ovvero la quasi istintiva reazione della maggior parte dei finlandesi di lingua svedese ad abbassare la testa (e con essa la cresta) e passare direttamente al finlandese.
Chiaramente non tutti gli svedesi di Finlandia sono disposti ad abbassare la testa e aspre critiche contro politiche linguistiche non inclusive accendono puntualmente dibattiti di stampo sociolinguistico e culturale in Finlandia. Un recentissimo esempio è un articolo apparso su HBL (Hufvudstadsbladet, il quotidiano più diffuso di lingua svedese in Finlandia), in cui la catena di supermercati Lidl viene accusata di usare solo il finlandese sulle etichette dei propri prodotti.
Si tratta dunque di un bilinguismo meramente formale e legislativo quello che si vive in Finlandia? Come viene vissuto il bilinguismo in altre zone ufficialmente bilingui come ad esempio il Südtirol/Alto Adige, in Svizzera o in Belgio? Esistono espressioni come hukarmentalitet in queste regioni? L’ Artful translator continuerà le ricerche…
La situazione in SvizzeraI parlanti russi in LettoniaLa situazione di bilinguismo in Alto AdigeFiamminghi e Valloni
I recently had a run-in with a very large state University where I have been teaching and which is bent on forcing their self-imposed regulations down the throat of a poor adjunct that naively walked into the trap of signing a contract that contains no such regulations.
Hard to follow? Welcome to the maze of inane bureaucracy that stifles the Italian pubblica amministrazione. Here’s how it works and the sadomasochism checklist that goes with it:
You apply for a position after a bando has been proclaimed. No trumpets are involved, but abundant rubber-stamping and legalese usually accompany this. The bando is an endless scroll listing every possible caveat to make sure everyone can stand a fair chance of applying and landing the aforementioned job. Incidentally, this includes the offspring of disabled veterans, which are given precedence. A quick calculation would place such applicants in their seventies. Give youth a chance, thank you very much.
Once offered the job, you sign the contract which not only includes your teaching duties for that particular course, but very generously allows you to take part in unpaid services, including being a thesis supervisor, a member of an academic or degree board, to say nothing of the 7 exam sessions that draw out for months long after the course has ended. An all-inclusive package that is quite advantageous for the state university, which can rely on a larger pool of instructors and adjuncts to carry out a number of tasks that tenured staff would otherwise be unable to fulfill. A titolo gratuito, thank you very much.
With the onset of the pandemic, some state universities have scrambled to ensure that all enrolled students can follow taught courses online. Which is perfectly reasonable. This particular state university, however, had the brilliant idea of asking all the teachers to tape their lessons and share these on a platform so that students could retrieve them at any later time. A top-down decision, relayed via a decreto rettorale, without any recourse to appeal. This may seem a trifle, but when no such information is contained in a contract, it stands to reason that one should be given at least an option. And let’s not forget that reruns are usually paid in most industries.
The culture clash came when I inquired with the endless array of offices as to the legal implications of failing to comply with this newly introduced rule. The decreto was once again bandied about as the ultimate clincher: any decree can supplant previously signed contracts.
Is that so?
As a translator, I’m not accustomed to taking words at face value and thus dug my heels in. In English, ‘decreto rettorale’ is a regulation or ordinance by a Chancellor. To an Italian’s ears ‘decreto’ is the same word used by the Prime Minister, a presidential proclamation through and through. Quite an intimidating word. Would I go to Adjunct Jail if found guilty of noncompliance? Would they hold back my meager paycheck?
Because I couldn’t get a straight answer from the multiple offices I had turned to, I decided to tell the recruitment office that I would no longer continue to teach at their University. Their swift retort was: ‘Ne prendiamo atto‘. Which is what I had been suspecting all along: they ultimately do not care.
Ne prendiamo atto is an apparently meaningless and formulaic reply that roughly translates as ‘duly noted’. However, the implications run deeper and, quite sadly, the dinosaurian pubblica amministrazione encapsulates its very essence in it.
Oggi tenteremo di evidenziare in quali lingue esista l’espressione il colpo della strega, ossia un improvviso dolore nella zona lombare. Esiste per esempio in italiano ma non pare essere invece usata in Inghilterra o in Francia, paesi storicamente pieni di streghe (NdT. risata soffocata).
il fatidico colpo della strega, verosimilmente provocato da un colpo d’aria.
L’espressione sembra avere origine nelle Germania medievale dove tuttora esiste Hexenschuss. Alle volte questi dolori potevano essere attribuiti anche a elfi e spettri che lanciavano frecce e colpivano la zona lombare.
Altro tipo di colpo della strega.
Il danese e il norvegese hanno mantenuto l’espressione hekseskud e hekseskudd.
Hekseskudd è talmente popolare in Norvegia che stampano addirittura delle magliette.
Stranamente lo svedese non pare conoscere l’espressione sebbene anticamente trollskott facesse parte delle credenze popolari in tutti i paesi nordici.
Neppure in nederlandese e in inglese esiste l’espressione e sarebbe interessante scoprirne il motivo.
Strano anche che sussista solo in italiano tra le lingue romanze. Niente golpe de la bruja o golpe da bruxa. Il francese non registra questa espressione, ma usa tour des reins. Il romeno, malgrado i contatti con il tedesco, non sembra aver preso in prestito la frase.
In Finlandia esiste il termine noidannuoli, letteralmente la freccia della strega, atto a significare proprio la lombalgia. Forse un prestito dal tedesco?
Dove colpisce la strega
In islandese troviamo skessuskot – lo sparo della strega – ma sembra un termine desueto, oggi rimpiazzato dal simpatico Þursabit, che letteralmente significa il morso del gigante.
Come mai dunque questa espressione originariamente tedesca non si è diffusa in molte altre lingue europee? Forse perché le fate francesi sono più gentili? O le streghe scozzesi sono indaffarate in ben altri intrighi?
Non è dato sapere.The Artful Translator continuerà le ricerche.
La perdurante mancanza di cura che spesso si riscontra negli articoli pubblicati sul sito del Corriere della Sera spesso offende o irrita , ma è talvolta fonte di immensa ilarità.
Sono giorni che la storiella dei reali anglo-californiani imperversa sulle pagine di tutti quei giornali che ne traggono vantaggio economico e gli innumerevoli articoli rimbalzano dalla stampa britannica – malamente tradotti – sulle pagine di quella italiana.
Non sono delle creazioni originali, ma delle traduzioni grossolane e superficiali e, come avrebbe detto una mia professoressa all’università, fatte alla brutta Eva.
Tralasciando la sciatteria nel non riportare nemmeno le maiuscole in nomi dei personaggi menzionati, l’ingerenza dell’inglese e dei falsi amici in un testo italiano è davvero insopportabile.
Iniziamo dalla prima riga: Fu la sovrana ad offrirla alla Duchessa infreddolita, lo ha raccontato lei a Oprah. Chi è quel ‘lei’? La sovrana?
Poi, si possono ‘raccontare le parole’ in italiano? O forse le parole vengono riferite?
Passiamo oltre. Mi faceva pensare a mia nonna nel suo essere sempre calorosa, invitante e veramente accogliente. Insomma, la regina Elisabetta II improvvisamente diventa una baita? O una mandrillona lesbica? Nella versione italiana la regina dice ‘vieni qui’ . Ma nell’originale inglese è semplicemente ‘come on’. Con tutt’altro significato.
Vediamo dunque da dove è stata tratta la notizia: dal Mail Online del 10 marzo, ossia il giorno prima.
Quindi warm and inviting and really welcoming viene preso e tradotto (da Google? da un giornalista?) senza capirne il senso e stravolgendo la situazione nella resa in italiano.
Così ci troviamo con una regina non più florida, ma apparentemente ancora invitante, e una giovane duchessa che sembra esserne sedotta e che sembra esternare delle tendenze omosessuali.
La regina invitante
Trovo che sia già abbastanza penoso che il Mail Online tratti questa immensa banalità – una persona condivide un plaid con un’altra persona – come se fosse una vera notizia e con una stucchevole dovizia di dettagli. Già forse è proprio penoso il Mail Online come giornale. Ma trovo ancora più imbarazzante che una storica testata italiana sia piombata così in basso e non si dia nemmeno la pena di riscrivere o tradurre bene gli articoli che compra (e non si sa bene per quale motivo) dalla stampa inglese.
Forse a Hollywood staranno già girando un film intitolato The Queen’s blanket. Forse la cara duchessa e la cara Winfrey staranno contando i soldi guadagnati con queste interviste stolide date in pasto a un pubblico che sembra aver perso il senso del gusto e della decenza. Mi auguro che quest’era di notizie di poco spessore svanisca in fretta e con essa svanisca anche questa masnada di traduttori e giornalisti sesquipedali.
Gli scandinavi hanno tendenzialmente il senso della misura. Non amano ostentare la propria ricchezza o cercare di spiccare nel gruppo (vedi la legge di Jante). Sono attirati da ciò che è hyggeligt, koseligto mysig – a seconda del paese – ossia da ciò che rappresenta un senso di intimità e convivialità, forse in contrasto o per reazione ai vasti spazi e al clima non sempre clemente.
Vengono ad esempio in mente le bellissime, ma spesso minuscole, sommerhus a bordo dei laghi o dei fiordi, che sembrano delle vere e proprie casette di fate.
A dispetto degli spazi immensi, sono rare le costruzioni maestose che invadono i paesaggi e usurpano la natura. In gastronomia, le porzioni sono normali, mai all’americana.
Nella lingua, è interessante notare come in svedese la famosa parola lagomdenoti questo senso della misura. Lo stesso avviene in alcuni dialetti norvegesi, dove assume la valenza di koselig appunto. Ed è forse interessante notare come la parola per piccolo små possa generare varie parole, soprattutto verbi.
In danese abbiamo ad esempio:
småbande = smoccolare, nel senso di dire parolacce
småblunde = sonnecchiare
småfløjte = fischiettare
smågræde = piangere sommessamente o piagnucolare
smågrine = ridacchiare
småkoge = sobbollire, bollire a fuoco lento
småregne = piovigginare
småspise = smangiucchiare
have småtravlt = avere diverse cosette da fare
Si nota quindi che l’italiano per tradurre questi verbi fa leva su quelle bestioline note come morfemi, che riescono a modificare dall’interno la sfumatura della parola.
Esta mañana estaba leyendo un artículo sobre un espeluznante asesinato cometido en el estado de Misuri y además de estar horrorizado por el alcance de la locura humana, me sorprendió notar la grafía castellana de algunos de los estados de los EE.UU.
Misuri, por ejemplo.
El castellano hispaniza o simplifica la ortografia de estados como Mississippi (Misisipi), Louisiana (Luisiana) o Pennsylvania (Pensilvania). Curiosamente, no modifica Massachusetts.
A diferencia del italiano, idioma que cambia oficialmente algunas grafías de los estados estadounidenses (por ejemplo traduciendo New Mexico en Nuovo Messico), el castellano parece cambiar en algunos casos hasta el acento (Oregon = Oregón).
Ortografia italiana
En realidad, la prensa italiana y los otros medios de comunicación italianos utilizan también las formas inglesas (West Virginia, South Carolina) como demuestra un vistazo rápido a Google News. Además, la grafía Nuova York parece obsoleta tanto en Italia como en Suiza.
El francés mantiene la grafía original a excepción de las Dakotas, Carolinas y el Nuevo Mexico (Caroline du Nord, Nouveau Mexique, etc.)
El portugués parece a veces aún menos conservador en la grafía. Estados como Hawaii, Kansas or New Jersey pueden escribirse: Havai, Cansas y Nova Jérsia. Aunque mi estimada colega brasileña me dice que las grafías originales son también utilizadas debido a la propensión brasileña a adorar todo lo que tiene origen en los EE.UU.
Los EUA en portugués.
En los idiomas germánicos, el alemán y el sueco cambia únicamente California en Kalifornien, el danés en Californien, en neerlandés Californië. Las variantes como Süddakota son quizá anticuadas.
Lo que parece indicar que los estados más conocidos o que tienen más contacto con el mundo exterior cambian a menudo sus nombres. Y los nombres que antiguamente fueron adaptados o traducidos parecen regresar a su forma original.
While it is true that extra as a suffix means ‘beyond’ or ‘outside’, as in extracurricular or extracellular, languages, nationalities and countries lying outside Europe or the EU are not extra-European. And while Romance languages can have lingue extraeuropee, pays extra-européens, países extraeuropeos or cooperação extraeuropeia, English does not.
Plenty of university language departments in Italy still seem to translate this literally and language graduates often follow suit in their CVs and LinkedIn pages. So, please remember that lingue extraeuropee could be something like ‘non-European’ or ‘non-EU’ languages. Or, to avoid any Eurocentric ramifications, you could even be more specific, a tendency which the English language usually displays anyway. Something like ‘Asian languages’ ‘Native American languages’ or even ‘Niger-Congo languages’, for instance, would sound more precise in an academic setting.
But I digress. Just make sure you don’t follow the lead if a renowned Milanese University publishes unEnglish-sounding information like this:
Getting started with Chinese sounds like a great idea. Just don’t forget your English.
All’epoca in cui vivevo in Indonesia, mi dilettavo a cercare testi di linguistica sull’indonesiano, una bellissima lingua che avevo iniziato a conoscere da studente all’ormai defunto ISIAO, Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente.
Tra i miei vari acquisti conservo ancora questo libro di circa 150 pagine che spiega l’origine straniera di tantissimi vocaboli entrati a far parte del lessico indonesiano. Una lettura piacevole e interessante che raccomanderei a chi già possieda una conoscenza base della lingua e volesse ampliare i propri orizzonti.
Edizione del 2002
Alif Danya Munsyi, l’autore dell’opera, non sempre purtroppo è preciso nel riportare la grafia dei termini che cita. Mi riferisco ad esempio al capitolo che tratta delle parole italiane che hanno contaminato l’indonesiano. Purtroppo ricordo che questa mancanza di cura editoriale era abbastanza diffusa ai tempi. Spesso all’epoca i libri venivano stampati o fotocopiati in modo approssimativo, seppure già a inizio secolo si trovavano alcune edizione di ottima fattura e costo proibitivo per il mercato locale. Spesso in lingua inglese.
9 dari 10 kata bahasa Indonesia adalah asing vale comunque la lettura per chi fosse appassionato di studi indonesiani o malesi.