Grisella o ratline?

Noto spesso con interesse come l’inglese riesca, a volte meglio dell’italiano, a infliggere un doppio smacco linguistico grazie al potere evocativo e connotativo ad esso intrinseco e alla fitta trama di polisemie che ne forma il tessuto. Prendiamo ad esempio il termine grisella, ai più termine ignoto, probabilmente di origine genovese (per assonanza o forse una storpiatura di ‘graticella’), che denota un elemento traversale sulle sartie e che funge da gradino sull’alberatura di un’imbarcazione. Un termine insomma che non evoca alcuna immagine mentale immediata e particolare finché non lo so si associa a grata o reticolo, o finché non lo si apprende come significato tout court. Per contro l’equivalente in inglese, ratline, evoca immediatamente il ratto che corre lungo le sartie e, nella sua accezione storica, associa le qualità nefaste del ratto ai nazisti in fuga sulle navi dirette per l’America del Sud. Tant’è che l’italiano ne ha assunto la medesima dizione in questa accezione storica del termine. Perché dunque l’italiano spesso cade nel prestito e non crea o rigenera idee proprie? Sono le lingue romanze meno agili delle lingue germaniche nel generare termini composti?

Tecnicamente l’italiano è capace di creare parole composte con suffissi, prefissi e accostamenti di sostantivi, ma spesso sembra riluttante ad adottarli. Sia nella mia esperienza diretta di parlante e interlocutore che attraverso letture di blog e articoli sul tema, mi sembra di capire che spesso i linguisti italiani concludono con giudizi estetici sulla lunghezza o l’ineleganza di certe parole. O sull’uso tecnico o arcaico di altre. Con la conseguenza che molte parole diventano davvero arcaiche a furia di non usarle.

Un recente e simpatico esempio di creatività di parole composte delle lingue germaniche proviene dal danese, che è riuscito a creare burkabil e per discendenza burkabilist per designare l’auto (e l’automobilista di tale auto) ricoperta di neve e il cui proprietario si è limitato a raschiare uno spiraglio sul parabrezza.

Nel caso di ratline, tuttavia, benché non ve ne sia traccia nei dizionari cartacei tradizionali, il termine appare sul sito treccani.it. Rubato direttamente dall’inglese. Eppure il concetto è squisitamente italiano. La ratline trova il proprio tramite al porto di Genova con la connivenza, o presumibilmente la correità, di personaggi chiave italiani e vaticani. Sorge quindi il dubbio che ci fosse una tacita volontà perché il concetto non venisse alla luce in lingua italiana ancor prima di essere obliterato da una memoria collettiva che ne era ignara. Forse qualcuno avrebbe preferito che le tracce di questa idea svanissero nella schiuma delle onde dell’Atlantico. Ma si sa che le sartie e le griselle sono le ultime parti ad affondare in un naufragio e le prime a riemergere e a cui i ratti si appigliano durante il tentativo di fuga.

Tentativo in questo caso fallito grazie all’apporto dell’inglese. A buon rendere.