La regina invitante

La perdurante mancanza di cura che spesso si riscontra negli articoli pubblicati sul sito del Corriere della Sera spesso offende o irrita , ma è talvolta fonte di immensa ilarità.

Sono giorni che la storiella dei reali anglo-californiani imperversa sulle pagine di tutti quei giornali che ne traggono vantaggio economico e gli innumerevoli articoli rimbalzano dalla stampa britannica – malamente tradotti – sulle pagine di quella italiana.

Non sono delle creazioni originali, ma delle traduzioni grossolane e superficiali e, come avrebbe detto una mia professoressa all’università, fatte alla brutta Eva.

Tralasciando la sciatteria nel non riportare nemmeno le maiuscole in nomi dei personaggi menzionati, l’ingerenza dell’inglese e dei falsi amici in un testo italiano è davvero insopportabile.

Iniziamo dalla prima riga: Fu la sovrana ad offrirla alla Duchessa infreddolita, lo ha raccontato lei a Oprah. Chi è quel ‘lei’? La sovrana?

Poi, si possono ‘raccontare le parole’ in italiano? O forse le parole vengono riferite?

Passiamo oltre. Mi faceva pensare a mia nonna nel suo essere sempre calorosa, invitante e veramente accogliente. Insomma, la regina Elisabetta II improvvisamente diventa una baita? O una mandrillona lesbica? Nella versione italiana la regina dice ‘vieni qui’ . Ma nell’originale inglese è semplicemente ‘come on’. Con tutt’altro significato.

Vediamo dunque da dove è stata tratta la notizia: dal Mail Online del 10 marzo, ossia il giorno prima.

Quindi warm and inviting and really welcoming viene preso e tradotto (da Google? da un giornalista?) senza capirne il senso e stravolgendo la situazione nella resa in italiano.

Così ci troviamo con una regina non più florida, ma apparentemente ancora invitante, e una giovane duchessa che sembra esserne sedotta e che sembra esternare delle tendenze omosessuali.

Trovo che sia già abbastanza penoso che il Mail Online tratti questa immensa banalità – una persona condivide un plaid con un’altra persona – come se fosse una vera notizia e con una stucchevole dovizia di dettagli. Già forse è proprio penoso il Mail Online come giornale. Ma trovo ancora più imbarazzante che una storica testata italiana sia piombata così in basso e non si dia nemmeno la pena di riscrivere o tradurre bene gli articoli che compra (e non si sa bene per quale motivo) dalla stampa inglese.

Forse a Hollywood staranno già girando un film intitolato The Queen’s blanket. Forse la cara duchessa e la cara Winfrey staranno contando i soldi guadagnati con queste interviste stolide date in pasto a un pubblico che sembra aver perso il senso del gusto e della decenza. Mi auguro che quest’era di notizie di poco spessore svanisca in fretta e con essa svanisca anche questa masnada di traduttori e giornalisti sesquipedali.

småt og godt

Gli scandinavi hanno tendenzialmente il senso della misura. Non amano ostentare la propria ricchezza o cercare di spiccare nel gruppo (vedi la legge di Jante). Sono attirati da ciò che è hyggeligt, koseligt o mysig – a seconda del paese – ossia da ciò che rappresenta un senso di intimità e convivialità, forse in contrasto o per reazione ai vasti spazi e al clima non sempre clemente.

Vengono ad esempio in mente le bellissime, ma spesso minuscole, sommerhus a bordo dei laghi o dei fiordi, che sembrano delle vere e proprie casette di fate.

A dispetto degli spazi immensi, sono rare le costruzioni maestose che invadono i paesaggi e usurpano la natura. In gastronomia, le porzioni sono normali, mai all’americana.

Nella lingua, è interessante notare come in svedese la famosa parola lagom denoti questo senso della misura. Lo stesso avviene in alcuni dialetti norvegesi, dove assume la valenza di koselig appunto. Ed è forse interessante notare come la parola per piccolo små possa generare varie parole, soprattutto verbi.

In danese abbiamo ad esempio:

småbande = smoccolare, nel senso di dire parolacce

småblunde = sonnecchiare

småfløjte = fischiettare

smågræde = piangere sommessamente o piagnucolare

smågrine = ridacchiare

småkoge = sobbollire, bollire a fuoco lento

småregne = piovigginare

småspise = smangiucchiare

have småtravlt = avere diverse cosette da fare

Si nota quindi che l’italiano per tradurre questi verbi fa leva su quelle bestioline note come morfemi, che riescono a modificare dall’interno la sfumatura della parola.

Nu har jeg lidt småtravlt, men vi snakkes ved…

Man skal småblunde nu og da.

Los Estados Unidos

EE.UU. en castellano

Esta mañana estaba leyendo un artículo sobre un espeluznante asesinato cometido en el estado de Misuri y además de estar horrorizado por el alcance de la locura humana, me sorprendió notar la grafía castellana de algunos de los estados de los EE.UU.

Misuri, por ejemplo.

El castellano hispaniza o simplifica la ortografia de estados como Mississippi (Misisipi), Louisiana (Luisiana) o Pennsylvania (Pensilvania). Curiosamente, no modifica Massachusetts.

A diferencia del italiano, idioma que cambia oficialmente algunas grafías de los estados estadounidenses (por ejemplo traduciendo New Mexico en Nuovo Messico), el castellano parece cambiar en algunos casos hasta el acento (Oregon = Oregón).

Ortografia italiana

En realidad, la prensa italiana y los otros medios de comunicación italianos utilizan también las formas inglesas (West Virginia, South Carolina) como demuestra un vistazo rápido a Google News. Además, la grafía Nuova York parece obsoleta tanto en Italia como en Suiza.

El francés mantiene la grafía original a excepción de las Dakotas, Carolinas y el Nuevo Mexico (Caroline du Nord, Nouveau Mexique, etc.)

El portugués parece a veces aún menos conservador en la grafía. Estados como Hawaii, Kansas or New Jersey pueden escribirse: Havai, Cansas y Nova Jérsia. Aunque mi estimada colega brasileña me dice que las grafías originales son también utilizadas debido a la propensión brasileña a adorar todo lo que tiene origen en los EE.UU.

Los EUA en portugués.

En los idiomas germánicos, el alemán y el sueco cambia únicamente California en Kalifornien, el danés en Californien, en neerlandés Californië. Las variantes como Süddakota son quizá anticuadas.

Lo que parece indicar que los estados más conocidos o que tienen más contacto con el mundo exterior cambian a menudo sus nombres. Y los nombres que antiguamente fueron adaptados o traducidos parecen regresar a su forma original.

How not to be a supernumerary among Extra-Europeans.

While it is true that extra as a suffix means ‘beyond’ or ‘outside’, as in extracurricular or extracellular, languages, nationalities and countries lying outside Europe or the EU are not extra-European. And while Romance languages can have lingue extraeuropee, pays extra-européens, países extraeuropeos or cooperação extraeuropeia, English does not.

Plenty of university language departments in Italy still seem to translate this literally and language graduates often follow suit in their CVs and LinkedIn pages. So, please remember that lingue extraeuropee could be something like ‘non-European’ or ‘non-EU’ languages. Or, to avoid any Eurocentric ramifications, you could even be more specific, a tendency which the English language usually displays anyway. Something like ‘Asian languages’ ‘Native American languages’ or even ‘Niger-Congo languages’, for instance, would sound more precise in an academic setting.

But I digress. Just make sure you don’t follow the lead if a renowned Milanese University publishes unEnglish-sounding information like this:

Getting started with Chinese sounds like a great idea. Just don’t forget your English.

9 dari 10 kata bahasa Indonesia adalah asing

All’epoca in cui vivevo in Indonesia, mi dilettavo a cercare testi di linguistica sull’indonesiano, una bellissima lingua che avevo iniziato a conoscere da studente all’ormai defunto ISIAO, Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente.

Tra i miei vari acquisti conservo ancora questo libro di circa 150 pagine che spiega l’origine straniera di tantissimi vocaboli entrati a far parte del lessico indonesiano. Una lettura piacevole e interessante che raccomanderei a chi già possieda una conoscenza base della lingua e volesse ampliare i propri orizzonti.

Alif Danya Munsyi, l’autore dell’opera, non sempre purtroppo è preciso nel riportare la grafia dei termini che cita. Mi riferisco ad esempio al capitolo che tratta delle parole italiane che hanno contaminato l’indonesiano. Purtroppo ricordo che questa mancanza di cura editoriale era abbastanza diffusa ai tempi. Spesso all’epoca i libri venivano stampati o fotocopiati in modo approssimativo, seppure già a inizio secolo si trovavano alcune edizione di ottima fattura e costo proibitivo per il mercato locale. Spesso in lingua inglese.

9 dari 10 kata bahasa Indonesia adalah asing vale comunque la lettura per chi fosse appassionato di studi indonesiani o malesi.

Selamat membaca dalam bahasa Indonesia!

Traduttori che lavorano con i piedi

Davvero possibile perdere di vista l’oggetto del prodotto che si tenta di vendere?

Possibile che l’azienda non abbia voluto o potuto verificare l’esattezza della traduzione?

A questo punto mi auguro che non sia stato interpellato alcun traduttore.

Perché sarebbe davvero un traduttore (o una traduttrice) che lavora con i piedi in tutti i sensi.

Domina l’italiano

Leggendo questo poster pubblicitario che tappezza un po’ ovunque la città, mi verrebbe da dire: domina l’italiano prima di avventurarti in altre lande.

Sottomettititi i suoi phrasal verbs? Un po’ sgrammaticato. Forse si sono persi una a in ai. Ma avrebbe senso? Controlla la sua grammatica? Nel senso di verifica la sua grammatica? O forse intendevano dire ‘averne il controllo’? Padroneggiare? Il listening? Siamo sicuri che sia maschile in italiano? Il listening cosa? In inglese listening si accompagna sempre a qualcosa come task o skills.

Infine, vieni in Berlitz. Ci piace poco quella preposizione in. Forse vieni alla Berlitz se intendiamo una scuola oppure al Berlitz se intendiamo l’istituto o il centro linguistico. Poi non è dato sapere perché Domina rimanga maiuscolo senza interpunzione precedente.

Insomma, molto accattivante la grafica e la metafora soggiacente. Lascia un po’ a desiderare la poca precisione linguistica dimostrata da chi le lingue dovrebbe insegnarle a parlare e a scrivere.

Tampon Day

I nearly spat out my coffee the other morning as I was reading the news: a company based in northern Italy had just trialed a new coronavirus swab test that’s sure to give results in a matter of hours.

Problem is that they chose to name it Daily Tampon. Regardless of the fact that most men would have a problem with this name or orifice to be used, the company still chose to go ahead with it and the new brand name made the papers, including the prestigious Il Sole 24 Ore.

I’m not privy to the reasons why the marketing department opted for this name but it’s misleading on two grounds: it’s not a tampon and it doesn’t need to be taken on a daily basis. Enough said.

All in a plaque…or targa commemorativa

It is interesting to note how languages may differ even in their more tangible form, like materials used or layout. Not just in terms of actual content.

Blue plaques are ubiquitous in London and other parts of the UK. They are part of British culture and its smart way of stylishly celebrating its heritage. They are blue, an unoffending color, which sets off the white letters and numbers quite nicely. They are modern-looking, unassuming yet eye-catching.

Things are quite different in Italy. And tellingly so. There are no blue plaques to rivet your gaze or pique your curiosity. That’s because Italy, in its cloyingly pompous and bureaucratic style, has opted for the austere-looking beige slab of marble. To match the equally drab street signs. Nothing stands out to help tourists or passersby pause and reminisce. Indeed, over time, these slabs tend to turn sooty and gray and the chiseled letters become harder to make out.

In addition to their headstone resemblance, the Italian targa commermorativa tends to come across as officious with its use of escutcheons and heraldic charges. It speaks – like a gravestone – of a past that has ceased to be. And dust and soot will take care of the rest.

A weasel amidst the elephants

The other morning I was saddened to read about the unexpected and inexplicable death of hundreds of elephants in Botswana. No one seems to know what culled the local population of elephants in this part of the world.

While reading the article published in the Guardian, an annoyingly intrusive word soured my mood.

Local witnesses say some elephants were seen walking around in circles, which is an indication of neurological impairment. “If you look at the carcasses, some of them have fallen straight on their face, indicating they died very quickly. Others are obviously dying more slowly, like the ones that are wandering around. So it’s very difficult to say what this toxin is,” said McCann. Excerpted from: Hundreds of elephants dead in mysterious mass die-off – The Guardian 01 July 20

Against this bleak backdrop of death, why add this irksome adverb, which adds nothing to the description and whose nonsensical presence inflates the style while deflating the gravitas of the alarming message being conveyed? ‘Other elephants are obviously dying more slowly?’ What is so obvious about all this? Nothing. ‘Like the ones that are wandering around’ the sagacious interviewee goes on to say. A flawlessly logical conclusion indeed.

In linguistics, words like ‘obviously’ are often referred to as dogmatic words or weasel words. Like a weasel, obviously sucks the essence out of a text leaving it as an empty, meaningless shell. Abstaining from interspersing your writing or speech with this hollow word will not help bring back these gracious animals, but will certainly make you sound like a sensible and sensitive writer.